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Bardo Thödol, il libro Tibetano dei morti

Immagine del redattore: Diletta De SantisDiletta De Santis

Un testo che parla alla vita attraverso la morte.

Ci sono libri che non si leggono soltanto: si attraversano. Il Libro tibetano dei morti, o Bardo Thödol, è uno di questi. Più che un semplice testo sacro, è un viaggio attraverso la transizione dell’anima, un manuale di istruzioni per chi si prepara a lasciare questa esistenza e per chi resta, cercando di comprendere il mistero della morte.

La prima volta che l’ho sfogliato, sono rimasta affascinata dalla sua prospettiva così distante dalla nostra idea occidentale della morte, spesso vista come una fine definitiva o ad ogni modo il passaggio definitivo tra un qui ed un oltre. In questo testo, invece, la morte è solo un passaggio, uno stadio intermedio in cui l’anima affronta prove, visioni, illusioni e possibilità di liberazione. È un testo che non parla solo ai morenti, ma anche ai vivi: ci insegna che ogni istante può essere un bardo, un momento di transizione in cui possiamo trasformarci e che la nostra stessa vita nasce e muore innumerevoli volte rimanendo nella stessa forma fisica a cui siamo abituati.

Ma da dove viene questo libro? Chi lo ha scritto? E perché è così importante nella tradizione tibetana? Per capirlo, dobbiamo immergerci nella storia e nel contesto in cui è nato.

Attributi di Tshans-pa ('Il Puro')
Attributi di Tshans-pa ('Il Puro')

Origini e contesto storico: un tesoro nascosto e ritrovato Conosciuto originariamente come Bardo Thödol ("Liberazione attraverso l'udito"), è un testo del buddhismo Vajrayana, la corrente tantrica del buddhismo diffusa in Tibet. Si dice che sia stato scritto nell’VIII secolo dal mistico indiano Padmasambhava, il leggendario fondatore del buddhismo tibetano.

Ma la storia del testo ha un’aura di mistero. Secondo la tradizione tibetana, il Bardo Thödol è un terma, ovvero un "tesoro nascosto". Nei secoli successivi alla sua composizione, il libro sarebbe stato sigillato per evitare che cadesse nelle mani sbagliate e sarebbe stato riscoperto solo nel XIV secolo dal maestro tibetano Karma Lingpa, che lo ritrovò in una caverna.

I terma sono un concetto tipico del buddhismo tibetano: si tratta di insegnamenti segreti lasciati nascosti fino al momento in cui l’umanità è pronta a comprenderli. Questo fa sì che il Bardo Thödol sia visto non solo come un testo sacro, ma come una rivelazione che continua a parlare attraverso i secoli.

Il libro veniva tradizionalmente letto ai morenti da un lama o da un monaco esperto, per aiutarli ad attraversare la transizione della morte con consapevolezza. Ma cosa succede, secondo questo testo, dopo la morte?

La ruota del samsara,  Credit: Leo Viktorov
La ruota del samsara, Credit: Leo Viktorov

I tre stati del bardo: la mappa dell’aldilà tibetano Secondo il Bardo Thödol, la morte non è un istante, dove prima sei qui e poi cessi di esistere, ma un processo. La transizione post-mortem non è un semplice vagare nell’aldilà, ma un confronto con la natura stessa della coscienza. Il defunto affronta una serie di esperienze che possono essere spaventose o liberatorie, a seconda della sua consapevolezza. In particolare l’anima del defunto attraversa tre stati intermedi, chiamati bardo (che in tibetano significa "transizione"). Ognuno di questi è una fase cruciale, in cui il destino dell’anima può cambiare.

  1. Bardo della morte (Chikhai Bardo)

    • Subito dopo la morte fisica, l’anima sperimenta una grande luminosità, chiamata Chiara Luce Primordiale. È il momento in cui l’essenza più profonda della mente viene rivelata. Se l’anima "riconosce" questa luce e vi si fonde, raggiunge la liberazione immediata. Ma la maggior parte delle persone, confuse e attaccate alla vita terrena, non riesce a farlo e passa alla fase successiva.

  2. Bardo delle visioni (Chönyi Bardo)

    • Qui l’anima inizia a percepire delle apparizioni: prima le divinità pacifiche, poi quelle terrificanti. Queste immagini sono considerate proiezioni della mente stessa, ma se il defunto non le riconosce come tali, sarà trascinato nel ciclo della rinascita.

  3. Bardo della rinascita (Sidpa Bardo)

    • Se l’anima non ha raggiunto la liberazione, entra nel bardo della rinascita, dove viene attratta verso una nuova esistenza. Le esperienze in questo stato determinano in quale regno l’anima rinascerà, influenzata dal karma accumulato.


Abbiamo parlato di divinità pacifiche e terrificanti che non sono da intendersi nel senso strettamente occidentale di divinità, ma come manifestazione visionarie della mente del morente, che rappresentano la coscienza illuminata e la mente oscurata dalle illusioni. Le divinità pacifiche: nei primi giorni dopo la morte, appaiono 42 divinità benevole, circondate da luci splendenti e colori puri. Sono manifestazioni dell’illuminazione e della saggezza. Se l’anima le "riconosce" e le accoglie, può raggiungere la liberazione.

Le divinità terrificanti: dopo qualche tempo, le visioni cambiano e appaiono 58 divinità irate, con sembianze mostruose e atteggiamenti spaventosi. Urlano, brandiscono armi, sembrano giudici severi. Se il defunto fugge spaventato, invece che riconoscerle come proprie manifestazioni, anche in questo caso perde l’occasione di liberarsi dal ciclo della rinascita.

Manoscritto del Bardo Tödröl Chenmo.
Manoscritto del Bardo Tödröl Chenmo.

Le pratiche rituali legate al Libro tibetano dei morti Il Bardo Thödol non è considerato solamente un testo filosofico o religioso, ma un manuale pratico utilizzato nei rituali funebri tibetani. Nei monasteri del Tibet e delle regioni himalayane, la lettura del Bardo Thödol è una delle pratiche più sacre. Alcuni elementi chiave del rituale includono la recitazione del testo per 49 giorni: secondo la tradizione, il viaggio nei bardo dura fino a 49 giorni. Durante questo periodo, i monaci leggono il testo ogni giorno, spesso accompagnandolo con mantra e canti sacri, cercando di far arrivare le loro prediche alla coscienza del morente, per aiutarlo a riconoscere gli stati che sta affrontando e guidarlo verso la liberazione.

Vengono anche preparate offerte di incenso, burro di yak e candele per facilitare il passaggio dell'anima.

L’idea di un testo che guidi l’anima dopo la morte non è esclusiva della tradizione tibetana. Esistono sorprendenti parallelismi con altre culture, specialmente con l’antico Egitto.

Il Libro dei Morti egiziano: una guida all'aldilà

Il Libro dei Morti dell'antico Egitto, noto anche come Libro della "Venuta alla Luce", è una raccolta di formule magiche, preghiere e incantesimi progettati per aiutare il defunto a superare le prove dell'aldilà e raggiungere il regno di Osiride, vi ricorda qualcosa?

Entrambi i testi descrivono un viaggio dopo la morte, ricco di prove e incontri con esseri divini, offrono istruzioni per evitare la reincarnazione indesiderata o la dannazione.

Ma ci sono chiaramente anche profonde differenze, ad esempio il concetto di "giudizio" (di cui sentono il retaggio in maniera più intensa tutte le religioni abramitiche) è presente solo nel testo dell'antico Egitto, dove il cuore del defunto veniva pesato contro la piuma di Maat, la dea della verità, della giustizia e dell’ordine cosmico. Se il cuore era più leggero o uguale alla piuma di Maat (che simboleggiava la purezza e la verità): il defunto era considerato degno di entrare nel Regno di Osiride, un paradiso noto come Iaru, i Campi di Giunco, un luogo di pace e abbondanza simile alla vita sulla Terra ma senza sofferenze.

Se il cuore era più pesante della piuma, significava che il defunto aveva vissuto una vita ingiusta e peccaminosa. In questo caso, il cuore veniva divorato da Ammit, una creatura mostruosa con testa di coccodrillo, corpo di leone e zampe posteriori di ippopotamo. Questo atto distruggeva completamente l'anima del defunto, impedendole di raggiungere l’aldilà e condannandola all’annichilimento eterno.

A differenza delle visioni di inferno di altre religioni, gli egizi non credevano in una punizione eterna dopo la morte: il vero destino peggiore era cessare di esistere. Non confondiamo il concetto di Karma Buddista con quello di giudizio, purtroppo è uno dei grandi fraintendimenti nelle traduzioni dei testi (e nelle banalizzazioni di concetti complessi), la "spinta del karma" deve essere intesa come risultato dell'abitudine e delle condizioni create, non come giudizio esterno o punizione divina.

Monaco buddhista in preghiera, Credit: Hadynyah
Monaco buddhista in preghiera, Credit: Hadynyah

L'influenza del Libro tibetano dei morti sulla psicologia: Jung e la trasformazione interiore Uno degli studiosi occidentali più influenzati dal Bardo Thödol è stato Carl Gustav Jung, il fondatore della psicologia analitica. Jung vedeva il libro non solo come un testo religioso, ma come una profonda rappresentazione simbolica del viaggio della psiche.

Jung interpretava il viaggio attraverso i bardo come una metafora del processo di individuazione, il cammino verso la realizzazione del Sé. Secondo la sua interpretazione le divinità pacifiche e terrificanti rappresentano aspetti del nostro inconscio. Il bardo della morte è simile alle esperienze di dissoluzione dell’ego tipiche di stati mistici e psichedelici.

La Chiara Luce Primordiale è l’equivalente dell’integrazione con il Sé, uno stato di realizzazione totale.


Il Bardo Thödol e le esperienze di premorte (NDEs)

Negli ultimi decenni, molti studiosi hanno notato una forte somiglianza tra il Libro tibetano dei morti e le esperienze di premorte (NDEs, Near-Death Experiences) riportate da persone che sono state vicine alla morte, tra cui:


  • La Chiara Luce Primordiale → Molti riportano di aver visto una luce intensa e avvolgente.

  • L’incontro con entità spirituali → Nelle NDEs, spesso si descrivono esseri di luce o figure religiose.

  • La revisione della vita con la comprensione delle conseguenze delle scelte compiute → Simile al concetto di karma e alla valutazione post-mortem nel buddhismo tibetano.

  • Il ritorno alla vita → Alcuni sperimentano un senso di scelta o di spinta a tornare, come nel bardo della rinascita.


Diversi ricercatori hanno indagato la connessione tra NDEs e tradizioni spirituali, incluso il buddhismo tibetano. Tra cui questa analisi, molto interessante, del rapporto tra cultura tibetana ed esperienze pre morte, analizzando il resoconto di casi contemporanei e storici di Délok (termine usato per indicare le persone che sono tornate in vita dopo uno stato di morte): “Little Death”: The Near-Death Experience and Tibetan Delogs.

Mandala di sabbia, nel monastero di Palcho
Mandala di sabbia, nel monastero di Palcho

Perché il Libro tibetano dei morti è ancora attuale Nonostante sia stato scritto più di mille anni fa, il Bardo Thödol continua a essere un testo di straordinaria rilevanza. Affronta il mistero della morte, un tema universale e senza tempo, offrendo una prospettiva su di essa che invita all'analisi del fenomeno, alle nostre convinzioni su di esso, che riduce la paura e promuove la consapevolezza.

Dialoga fluentemente con la psicologia moderna, in particolare con le teorie di Jung e con gli studi sulle esperienze di pre-morte, suggerendo che il passaggio dalla vita alla morte possa essere un processo psicologico profondo, non solo biologico.

Ed infine offre strumenti di trasformazione personale, attraverso la meditazione e la riflessione sul ciclo della vita e della morte, in un’epoca in cui la società occidentale tende a rimuovere o medicalizzare la morte, il Libro tibetano dei morti ci invita a guardarla con occhi diversi, a preparaci a essa non come fine, ma come parte di un processo più grande. Ma come accennato nell'introduzione è un testo che prima di parlare ai morenti parla ai viventi, ci invita a rimanere ancorati all'importanza della consapevolezza nel presente, insegnando che la mente crea la propria realtà, sia in vita che nella morte (o quanto meno nel suo processo).

Incoraggia il superamento delle illusioni e delle paure, come le visioni pacifiche e terrificanti descritte nel testo possono essere interpretate come proiezioni della nostra psiche. Riconoscerle e accettarle è un percorso di liberazione, utile soprattutto nella vita quotidiana.

Infine il libro suggerisce che, anche di fronte all’inevitabile, esiste sempre una possibilità di evoluzione e di risveglio.

In questo senso, il testo può essere letto come una guida alla conoscenza di sé, oltre che alla morte, aiutando chiunque sia interessato alla crescita interiore. Leggere il Libro tibetano dei morti è stata per me un’esperienza profondamente trasformativa. Al di là del suo valore religioso e simbolico, l’ho trovato un testo straordinario perché insegna ad affrontare il cambiamento – non solo la morte fisica, ma ogni transizione nella vita – con maggiore lucidità e accettazione (non passiva ma attiva).

Una delle cose che mi ha colpito di più è la descrizione dei bardo, non solo come stati post-mortem, ma come momenti di passaggio nella nostra esistenza quotidiana. Se pensiamo alla nostra vita come a una serie di cicli di morte e rinascita – la fine di una relazione, un cambiamento lavorativo, una nuova fase della vita – allora il messaggio del libro diventa ancora più potente: ogni fine è un'opportunità per risvegliarsi a una nuova comprensione.

Per questo motivo, consiglio la lettura del Bardo Thödol non solo a chi è interessato alla spiritualità tibetana, ma a chiunque voglia avvicinarsi a una visione della vita e della morte più ampia, diversa, profonda e consapevole.


 
 
 

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